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Collaborazioni sportive ed utilizzo lecito dei compensi sportivi esenti alla luce di recenti pronunce giurisprudenziali

27.11.2014 10:56

Purtroppo o per fortuna ormai numerose pronunce della Giurisprudenza stanno affermando i medesimi principi in merito al lavoro in ambito sportivo, ciò al fine di arginare il frequente ed illegittimo ricorso alle forme detassate di contribuzione.

Gli elementi che la Giurisprudenza ha individuato nel corso di questi anni per ritenere provata la natura professionale dell’attività svolta dai collaboratori sportivi sono in sintesi i seguenti:

-          Utilizzo nello svolgimento dell’attività di particolari conoscenze tecniche

-          Abitualità dell’attività che sia svolta con carattere di continuità e ripetitività anche se non in esclusiva

-          Carattere non irrisorio o non marginale  rispetto al reddito medio delle somme percepite

Nel caso in cui nell’attività svolta dai collaboratori sportivi vengano rilevati tali elementi in caso di verifica potrà essere esclusa l’applicabilità del noto art 67, Co. 1, Lett. M, TUIR e conseguentemente potrà essere rilevata la debenza dei contributi previdenziali non versati.

È di fondamentale importanza quindi che l’attività svolta dal percettore di tali somme esenti non sia la loro attività abituale e che da questa forma di reddito non traggano il proprio sostentamento economico principale, poiché in caso contrario “convergenti elementi portano a ritenere che in capo all’opponente (l’associazione N.d.R.) sussiste l’obbligo contributivo rivendicato dall’Inps.”

In queste sentenze viene chiarito per la prima volta che nello sport dilettantistico possono convivere sia prestazioni riconducibili al noto art. 67 e quindi non assoggettabili a contribuzione, sia invece prestazioni assoggettate; ciò in quanto il Tribunale di Milano statuisce che “Non vi è obbligo contributivo quando l’attività sportiva venga resa in modo occasionale e non professionale: non deve trattarsi di una vera e propria professione della persona che la svolge, ma di un’attività dilettantistica resa in modo continuativo e comunque non abituale. Al contrario i lavoratori che svolgono attività sportive in modo abituale e non occasionale, anche se autonomi, sono soggetti al regime di contribuzione Ex Enpals.”

La “professionalità” viene quindi ravvisata nelle competenze tecnico-professionali dei soggetti accertati, dalla continuità e stabile inserimento nell’organizzazione del committente e dalla percezione di compensi la cui misura non riveste carattere di assoluta marginalità.

Le conseguenze di questi citati orientamenti giurisprudenziali è ovviamente un aggravio di costi sulle associazioni che per anni hanno utilizzato tale strumento per retribuire i collaboratori, ma in questa sede non stiamo affermando che il ricorso a questi metodi di pagamento è illegittimo, solo che deve essere valutato caso per caso in base alla reale possibilità di utilizzo.

La ratio dei c.d. compensi sportivi è quella di retribuire figure di collaboratori che affiancano ad una normale attività lavorativa regolarmente retribuita anche un'attività sportiva nel tempo libero come quella di istruttore o giudice di gara, al fine di incrementare i propri redditi senza però che tali proventi siano gravati da imposizione.

L'eventuale istruttore di una ASD che svolge questa sua professione come vero e proprio lavoro, anche in più associaizoni sul territorio, facendo di questa la sua reale e quotidiana attività lavorativa di certo non può pensare di essere retribuito tramite i compensi esenti previsti dall'art 67, co. 1, lett M TUIR in quanto nel suo lavoro sono ravvisabili tutti gli elementi di professionalità, abitualità e non marginalità previsti dalla Giurisprudenza di merito.